Società liquida o gassosa?
Viviamo in una società liquida, come suggerisce Baumann? Io penso che il passaggio degli ultimi anni non sia solamente dallo stato solido e quindi con saldi valori universali quali il rispetto, la gentilezza, la solidarietà, allo stato liquido e quindi impalpabile, sfuggente, sempre in trasformazione. Io credo che l’umanità sia arrivata oramai ad uno stato gassoso, dove ognuno si sente in diritto di giudicare, di sentirsi superiore all’altro, di essere pieno di sé, uno stato individualista, egocentrico, narcisista come neanche Freud avrebbe potuto mai immaginare potessimo diventare in futuro. Non tutti, certo, per fortuna.
Ma è sufficiente leggere taluni commenti sui social network, per avvedersene.
Ci siamo proprio così involuti, pur avendo un grado di istruzione mediamente molto più alto di un tempo, la possibilità di avvalerci di diversi strumenti culturali, forme d’arte, media per confrontarci e riflettere?
Veniamo a conoscenza di tutto e subito, e condividiamo in tempo reale il nostro pensiero riguardante qualsiasi argomento, anche di cui non sappiamo nulla, seguendo il torrente di commenti di altri umani, di cui, ancora una volta non sappiamo quasi nulla.
Una specie di vortice dove il piacere di lasciare il segno, qualsiasi esso sia, è maggiore della scelta del contenuto, della parola adatta al contesto.
Siamo capaci di superficialità come di ferire, ma se ce lo rimproverano, non lo accettiamo, additando la scarsa capacità altrui di riconoscere la verità. Ben inteso, la nostra verità, ma tant’è: l’altro è sempre permaloso, ottuso, lento, mentre noi siamo anni luce avanti, siamo sagaci, brillanti e arguti.
Siamo persone allo stato gassoso, piene d’aria, di noi stessi, piene di nulla.
E così, quando qualcuno tenta di farci vedere il vuoto di cui c’attorniamo, noi respingiamo con veemenza ogni considerazione che non esprima il nostro pensiero, che non condivida il nostro fluttuare nelle bollicine, che sanno farci assaporare una realtà deformata, a volte distante e a volte appiccicata a noi, come un vestito sudato. E la sensazione che proviamo è proprio quella, di dovercelo levare al più presto, di dover pulire la pelle, di lasciarla respirare, di sciacquare via tutte le esegesi, le sentenze e i punzecchiamenti di persone sconosciute, che ci hanno preso di mira, talvolta per farci imbestialire, per godere della nostra risposta carica di rabbia, talvolta solo per sentirci vivi, esistenti in mondo virtuale che batte 10 a 0 quello reale.
Comunichiamo con la convinzione di saperlo fare meglio degli altri, o di buttarci nella mischia, seguendo un leader immaginario e carismatico, che sostituisce mentalmente la oramai manchevole fiducia in quelli veri, che non reputiamo più, come un tempo, preparati e molto più competenti di noi, ma meschini e sterili di ideali.
Ma noi, sempre pronti a seguire il gregge nel belare contro il potere, saremmo poi capaci davvero di prendere in mano la situazione e di cambiare le cose?
O non sarà solo un abbaiare alla luna?
Serve allenare i giovani a nuovi pensieri, noi siamo una generazione perduta tra i meandri di frasi fatte su Facebook, cinguettii fatiscenti su Twitter e qualche immagine ancora emozionante su Instagram, sappiamo salvarci? O non abbiamo sufficiente esperienza di questo mondo online?
I nativi digitali possono modificare con più facilità l’ansa del fiume e correggere la vacuità di un’esistenza che ripropone il martellante “sentito dire”.
Se lo desideriamo anche noi, armiamoci di santa pazienza e tentiamo di scuoterci di dosso la polvere pirica del sospetto e della legittimità. Servirà rivoluzionare la nostra consapevolezza e trasformare stoicamente l’aggressività in mitezza, l’offesa in complimento, l’ostilità in accettazione.
Forse siamo ancora in tempo: ma nella comunicazione, sia reale che virtuale, dalle critiche costruttive a quelle distruttive il passo è breve. Almeno questo dobbiamo tenerlo a mente. E sentirci meno dispensatori di verità assolute. E più semplicemente essere umani, senzienti, ma fallaci.