La morte sociale
Se ne parla solamente quando un fatto di cronaca viene particolarmente condiviso dai media, suscita quello scalpore commentato sui social che il giorno dopo si affievolisce fino a scomparire. Non servono fatti eclatanti di violenza nei confronti di donne anziane per far affiorare un problema misconosciuto che non può lasciare indifferenti.
Colpire una fascia di età e genere particolarmente fragile come quella delle donne anziane dovrebbe invitare a molte riflessioni. Diversi studi concordano sul fatto che la violenza sugli anziani è una violenza occulta, sommersa, seppure viva nella quotidianità.
Il maltrattamento infatti si perpetra attraverso gesti di sconosciuti, ma anche di persone che si prendono cura della persona anziana (caregiver) e talvolta anche da parte di familiari.
A livello di comunità diventa sempre più urgente la necessità di includere una particolare attenzione alla persona anziana che incontriamo ogni giorno, che salutiamo appena il mattino o che non “vediamo” affatto all'entrata delle abitazioni. Io definisco un “dovere sociale” quello di scambiare qualche parola con chi vive solo, perché prevenire fatti come quelli accaduti in passato è possibile, ma solo attraverso dei buoni rapporti di vicinato che rafforzano l'identità sociale della persona e la sua qualità di vita. La tendenza, da invertire, è infatti proprio quella di aumentare il divario tra le generazioni e di conseguenza le possibilità relazionali tra giovani e anziani, relegando questi ultimi verso quella che è stata definita da Bauman “la morte sociale”.
La percezione dell'insicurezza aumenta con il crescere dell'età, fino alla fascia 60-69 anni, per poi diminuire. Questa diminuzione però, è bene saperlo, è dovuta al fatto che i più anziani e le più anziane tendono a chiudersi in casa, semplicemente escono sempre meno. E allora: vogliamo che essi siano autonomi il più a lungo possibile, ma non consideriamo abbastanza il fattore sociale che ricade fortemente sui fattori psicofisici di salute. Siamo noi tutti chiamati ad un esercizio di attenzione e solidarietà: “l'affetto verso gli altri apre l'ingegno e rende luminose le menti” (Seneca).