La faccia oscura del gioco
Il gioco è una manifestazione fondamentale dell'espressività umana: non esiste homo sapiens che non celi dentro di sé un homo ludens. Il gioco è insito nella natura umana, così come in quella animale...è istinto atavico e irrinunciabile, momento di crescita e socializzazione, mezzo di evasione dalla realtà, innocente strumento di piacere in grado di riconnetterci con il nostro lato più infantile e spensierato.
Una delle sue possibili declinazioni è il gioco d'azzardo, che comunque, a differenza di ciò che si potrebbe superficialmente pensare, non è necessariamente patologico. Il gioco d'azzardo infatti si riferisce a qualsiasi “attività ludica in cui ricorre il fine di lucro e nella quale la vincita o la perdita è in prevalenza aleatoria, avendovi l'abilità un'importanza trascurabile”. Dunque si può giocare d'azzardo senza avere necessariamente un problema. D'altronde quanti di noi non hanno mai comprato un gratta e vinci o tentato di indovinare qualche numero al lotto? Brevi momenti di cieca euforia farciti di speranza, ma anche ragionevole disillusione e consapevolezza che tutto dipenda dal caso. Niente di male, niente di patologico.
Quand'è allora che quest'attività ludica assume inequivocabilmente una connotazione negativa? La risposta è semplice: nel momento in cui una persona mette in atto una serie di comportamenti problematici, persistenti o ricorrenti, legati ad una pratica del gioco d'azzardo che evidentemente sfugge di mano, diventando via via una vera e propria dipendenza. Non è un caso se il disturbo da gioco d'azzardo è stato inserito all'interno del DSM (Manuale Statistico Diagnostico dei disturbi mentali) nella categoria dei “disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”. Addiction: dipendenza appunto, in cui il gioco, la scommessa, l'ebbrezza del rischio, diventano una droga con tanto di sintomi annessi e connessi. E come in una qualsiasi altra condizione patologica di questa categoria, l'individuo precipita più o meno velocemente in una situazione di incapacità cronica di resistere all'impulso del gioco. Ne deriva che il soggetto, ormai rispondente ai criteri del ludopatico, anche volendo, non riesce più a smettere di giocare, spesso alzando sempre di più la posta in gioco, intrappolato nel continuo bisogno di evadere dal mondo o di sfidare la sorte, talvolta assorbito in un vortice di pensieri al limite del delirante tali da essere convinto di poter vincere sulla casualità delle giocate e di poter controllare il destino. Soggetti che a forza di mentire, rubare, cercare soldi con cui tentare nuovamente la fortuna, finiscono col rovinare se stessi e le relazioni con le persone che li circondano.
Le conseguenze dello sviluppo di un disturbo da gioco d'azzardo sono drammatiche, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista umano. E non riguardano esclusivamente la persona affetta da ludopatia, bensì il suo intero nucleo familiare, troppo spesso alle prese con una problematica troppo grande per gestirla in solitaria e di cui si fa fatica a parlare perché causa di vergogna. “Dopotutto se l'è cercata”: questo il pensiero che in automatico frequentemente passa nella testa delle persone che preferiscono liquidare la faccenda colpevolizzando il singolo in quanto responsabile della sua situazione, piuttosto che affrontare e considerare la problematica nella sua reale gravità ed estensione.
A questo proposito alcuni numeri possono aiutarci a capire l'entità del fenomeno: nel 2021, ultimo dato ad oggi disponibile, in Italia sono stati spesi 110 miliardi di euro nel gioco d’azzardo, posizionando il nostro Paese al 7° posto a livello mondiale per ludopatia. Solo nella provincia di Trento, è andato in fumo oltre mezzo miliardo di euro, e in tutta la regione, la cifra sale a ben un miliardo. Secondo stime attendibili, i giocatori patologici in Italia sono oltre un milione e mezzo. Fra i 18 e 30 anni la prevalenza è maggiore fra i maschi, ma con l'aumentare dell'età, specie dopo i 50 anni, si osserva un incremento delle donne, che seppur sempre in minor numero, sviluppano il disturbo da gioco da azzardo in un lasso di tempo più breve rispetto agli uomini. Inutile dire che questi numeri non si avvicinano minimamente a quelli di coloro che si rivolgono ai servizi sanitari per un aiuto.
Allontanare le sale da gioco di un minimo di 300 metri dai luoghi cosiddetti sensibili (scuole, chiese, cimiteri, ospedali, rsa, ecc), in cui transitano frequentemente fasce di popolazione, in particolare giovani ed anziani, che potrebbero con maggiore probabilità diventare vittime di questa spirale è un inizio, ma chiaramente non è sufficiente (vedi legge provinciale n.13, 2015). Ad oggi servono interventi volti ad andare a fondo della problematica con un atteggiamento non giudicante, per consentire a coloro che vivono queste situazioni di fare i conti con la loro realtà, di chiedere aiuto prima che sia troppo tardi: interventi che puntino sulla consapevolezza, sull'informazione e sulla prevenzione, oltre che sulla cura.