Il male silenzioso uccide ogni giorno

La solitudine, il male silenzioso, la tragedia muta. E' ciò che fa sentire le persone nel modo peggiore, in ogni parte del mondo, in ogni tempo, in ogni luogo.

La solitudine uccide, ma in maniera silente: niente titoli sui giornali, niente di niente.
Per molte persone nemmeno un ricordo, il pensiero di qualcuno. Solo andarsene via in silenzio, da soli, tremendamente soli, disperatamente soli.
La solitudine rappresenta il male estremo: c'è sempre stata, ma in questo tempo di ipercomunicazione e vita on-line, la solitudine ha solo molte facce in più, mascherate da blog, da tweet, da post.
Ecco, è veramente un paradosso non parlare con nessuno per giorni, rimanere da soli e ricevere un “Buongiorno” o un “Buonasera” forse stentate, in negozio o al bar, che non sono mai abbastanza per tornare alla vita.
E alla fine, costretti costantemente in questa solitudine potente che attanaglia e non fa respirare, ci si convince che sia meglio così, che è meglio soli che male accompagnati.
La sofferenza e la distorsione del problema non dà però la possibilità di capire che si può essere anche bene accompagnati da qualcuno che ci può capire, che condivide con noi le stesse emozioni, vivendo le quali si può provare vera gioia.
Molte persone invece rimangono in una bolla di smarrimento, la solitudine li incita a rimanere bloccati in casa da soli, additando motivazioni improbabili come “non hai le forze”, “non hai la coraggio”, “non hai le capacità”, ma soprattutto non credere più che sia possibile avere un dialogo sincero con qualcuno.
E allora, nel mesto muoversi in casa, la sera, assorbendo senza convinzione immagini sfavillanti di vite perfette, si continua a sprofondare sempre di più nella malinconia, finché dando un’occhiata all'orologio decidiamo di andare a dormire. L’illusione ogni sera si perpetua: che nel riposo, nell'abbandonare lo stato di veglia, si possa trovare una gran pace, il piacere di scivolare tra le braccia di Morfeo, colui che rende insensibili agli stimoli del mondo.
Ma poi c'è il risveglio: ricominciare una giornata da soli senza parlare con nessuno, il primo respiro della giornata è già una pietra sul cuore, lo è ancora di più nei giorni di festa, dove immaginiamo gli altri in famiglia o in gruppi a muoversi, a divertirsi.
E si prova ad uscire, a compiere quei dimessi gesti ordinari, come comprare un giornale, per sentirsi parte di una società. Si entra, si saluta, altri acquistano il giornale, ci si sente come loro, ma poi si ascolta un dialogo dove una persona esprime la propria gioia perché in quel giorno festeggia un anniversario e preparerà una tavolata per 15 persone.
E allora il pensiero fugge da quel luogo, ci si affretta ad uscire, ad allontanarsi, come se la distanza potesse cancellare l’udito.
Senza relazioni è vivere nell’inconsistenza, nell’offuscamento, perché una persona ha bisogno di incontrare gli altri, di comunicare, il bisogno di un confronto, di una risata, di un’emozione condivisa.
Ci si chiede il perché di tanto dolore al mattino: perché c’è tutta la giornata davanti, una nuova giornata di solitudine.
Questo malessere diventa sempre più profondo, anche se si cerca di accantonarlo, pensando che qualcosa cambierà; c'è una minima speranza in fondo, finché si va avanti, c'è un barlume di positività, perché effettivamente esiste la possibilità che qualcosa cambi, quindi è giusto avere questa speranza, che ci permette di portare avanti la nostra vita.
Succede: per alcune persone all'improvviso tutto cambia, ma per altri sembra non cambiare mai e il giorno dopo diventano sempre più tristi e soli.
Fate un pensiero nuovo: potremmo essere noi il motivo, la causa, i responsabili di questo cambiamento: con la dovuta attenzione leggere la sofferenza dell’altro, entrare in relazione in forma leggera, coinvolgere in qualche iniziativa socio-culturale, produrre atti di gentilezza accompagnati da un sorriso.
Basta poco, ma questo poco, che può essere tutto per l’altro, facciamolo iniziare da noi.