Quando la maschera cade
/Bisogna prenderne atto: nel contesto dei drammatici fatti di cronaca nera che ci vengono quotidianamente raccontati dalle televisioni, accade sempre più spesso di sentir parlare di “narcisisti manipolatori”. Si tratta di un'espressione oramai comunemente utilizzata per tracciare il profilo psicologico di soggetti che, perlomeno in questi casi specifici, hanno commesso crimini che ci risulta particolarmente difficile comprendere e “digerire”.
Crimini che colpiscono la sensibilità collettiva per via della loro efferatezza, certo, ma forse soprattutto a causa della freddezza con cui vengono compiuti. Capire le ragioni di un omicidio, cosa ben diversa dal giustificarlo, è già un compito arduo di per sé. Si tratta di un gesto che, violando la principale regola di convivenza civile, sfida le leggi del contratto sociale. Un gesto che mette in discussione i valori su cui si fonda la collettività: dunque un gesto contro cultura.
Quando però ad essere vittima di tanta brutalità sono i genitori, i fratelli, le sorelle, i figli, o come nell'ultimo fatto di cronaca le compagne in dolce attesa (vedi delitto di Senago), orrore e incredulità divengono gli ingredienti principali che contraddistinguono la reazione emotiva della società civile, in misura maggiore di quanto non si osservi invece in altre tipologie di omicidio.
Come mai? Il motivo è semplice, e risiede nella psicologia, in quel bisogno presente in ciascuno di noi di comprendere le ragioni che si celano dietro determinati comportamenti, appunto. E dato che in questo genere di delitti quanto commesso non va più semplicemente contro cultura, ma anche contro natura, ecco che qualcosa ci sembra non quadrare. A contare non sono più tanto la violenza del gesto, la sua premeditazione e i successivi depistaggi, quanto piuttosto la fredda lucidità con cui viene compiuto, l'irrilevanza del movente, in genere evidentemente sproporzionato rispetto all'azione omicidiaria, e la mancanza di pentimento, di un minimo di empatia o senso di colpa.
Possiamo chiamarla banalmente morbosità, ma in larga parte tensione e interesse suscitati da questi fatti nelle persone, nascono da un profondo bisogno di capire, di risolvere un conflitto elaborativo. Di fronte a situazioni che mal si conciliano con le nostre convinzioni infatti, la nostra mente avverte la presenza di quella che in letteratura viene indicata come “dissonanza cognitiva”: uno scontro fra credenze, nozioni, opinioni in contraddizione fra loro, o con quanto assimilato in precedenza. Da qui il senso di incredulità, e la necessità di inquadrare il soggetto all'interno di una definizione psichiatrica che lo isoli dal resto del mondo, spiegandone le disfunzionalità e riconducendo di conseguenza le sue azioni, percepite difatti al limite del disumano, alla natura mostruosa della sua patologia.
In psicologia si parla di disturbo narcisistico di personalità solo ed esclusivamente quando sono soddisfatti tutta una serie di criteri diagnostici ben precisi, che vanno dalla mania di grandezza, all'invidia nei confronti degli altri, da un senso di superiorità, al forte bisogno di ammirazione. Sintomo principale di questa condizione però è forse l'incapacità di provare empatia e coinvolgimento affettivo nei confronti degli altri, da cui ne consegue l'impossibilità di strutturare relazioni affettive stabili e soprattutto sane, rispettose del/della partner. Tale soggetto infatti, per colmare dei vuoti interiori residuali dall'infanzia ormai talmente radicati in lui da segnarne lo sviluppo della personalità, vive nell'idealizzazione della propria importanza, rapportandosi con gli altri mosso da egoismo, nonché dalla costante sete di apprezzamento e di adulazione. Costantemente concentrato sulla propria persona, il soggetto narcisista crea un'immagine di sé che deve apparire perfetta agli occhi del mondo esterno, per poter ricevere da esso quelle continue conferme della sua perfezione che gli consentono di non vedere e non affrontare i vuoti che nasconde al suo interno.
Un'esistenza che richiede un grande controllo su se stesso e sugli altri, fatta spesso di manipolazioni e bugie, di maschere indossate per simulare un'emotività altrimenti guasta, di accorgimenti volti a mimetizzarsi nella folla e tentare di condurre una vita normale, senza forse rendersi conto di essere sempre e comunque schiavo di una condizione patologica irrisolta. La sensazione di perdere il controllo, di poter essere scoperto e costretto a guardarsi in uno specchio che invece di rimandargli un'immagine ideale gli mostra le sue vulnerabilità e i suoi difetti, è probabilmente la sua paura più grande. Perdere la maschera e veder crollare il castello di bugie e finzioni su cui poggiano le sue false certezze di perfezione e completezza, comporta infatti una crisi identitaria talmente angosciante, da indurlo istintivamente ad evitare che ciò accada a tutti i costi: anche se questo significa eliminare testimoni scomodi, anche se i testimoni sono la propria compagna incinta, o i propri genitori e familiari più cari.
Incapace di sopportare lo stress e le frustrazioni, di fronte a tutto ciò che rappresenta una minaccia al suo senso di padronanza e al suo narcisismo, reagisce come se si trovasse di fronte ad un pericolo per la sua stessa sopravvivenza. Attacco o fuga sono le risposte che ogni essere vivente mette in atto in natura quando si sente aggredito, e allo stesso modo può reagire una persona con tale disturbo di personalità laddove senta messa in discussione l'immagine costruita con tanto sforzo e fatica. In gioco in questo caso non è la sua incolumità fisica, ma la sua sopravvivenza identitaria. E a farne le spese, purtroppo, sono persone innocenti che non avrebbero mai potuto immaginare che delle dinamiche relazionali normali come una richiesta di separazione, una discussione, un divorzio, potessero innescare delle reazioni difensive tanto violente e aggressive.
Capire non significa giustificare: comprendere il comportamento umano e le cause che lo determinano è lo scopo della psicologia, che lavora raccogliendo dati e conoscenze anche per poter agire in maniera preventiva. Quindi se la cronaca nera ci racconta giorno dopo giorno fin dove può spingersi l'essere umano mosso dal bisogno di proteggersi da se stesso a causa di una personale incapacità di fare i conti con i propri demoni interiori, individuare per tempo le situazioni delicate ed intervenire prima che sia troppo tardi è il vero obiettivo. Fare attività di informazione ai fini di un'educazione al rispetto che passi anche attraverso percorsi terapeutici a cui indirizzare coloro che, prigionieri dei loro problemi vittimizzano gli altri, è dunque fondamentale affinché le storie di questo tipo siano sempre di meno.