Eutanasia: la libertà contesa
/Torna in primo piano un tema fortemente dibattuto, e non potrebbe essere altrimenti, visto che è talmente complesso e delicato da far rimanere a volte ammutoliti. Sto parlando dell'eutanasia, o se preferite del suicidio assistito, o del diritto di porre fine alla propria vita.
Intendo subito precisare che non si tratta di “prendere le parti”. Qui vorrei proporre una riflessione profonda a chi decide, attraverso le leggi, la regola da seguire in casi di malattia inguaribile.
Vorrei poter trasmettere alle persone che ci governano, attraverso i miei occhi, gli sguardi di coloro che sono costretti in un corpo morente e attendono solamente di scivolare via.
Io, per lavoro, vedo e parlo con i malati ei “fine vita” (così vengono chiamati i morenti) e percepisco tutto il loro dolore, la loro paura e la loro rabbia.
Parlo anche con i medici e la questione è: mantenere in vita una persona che mezzo secolo fa sarebbe già morta da anni, è questa la scommessa della medicina?
Vivere più a lungo oppure morire più lentamente?
Negli ultimi anni si è posto l'accento sulla qualità della vita (marchio QoL, Quality of Life) e allora, nello specifico, chiediamoci cosa significa per una persona con un tumore in testa (o se preferite neoplasia cerebrale) costretta a letto da mesi, con difficoltà di parolae saltuarie perdite di coscienza, sentire la sua vita frantumarsi, mentre il tumore maligno aumenta di volume comprimendo le strutture adiacenti. Quando questa persona avverte dolori sempre più forti, ha o non ha il diritto di non soffrire?
Non c'è cura, non c'è più nulla da fare, ma la persona deve sottostare alla decisione di altri che le impongono di continuare a “vivere”.
C'è l'aspetto più importante, dopo il dolore: la dignità della persona.
Sono in un Comitato Etico, dò consulenze sul testamento biologico (o biotestamento). Mi occupo della salute psicologica delle persone. Per questo vi garantisco che essere intrappolati in un corpo che inesorabilmente si spegne, senza potersi esprimere, è il più grande dei dolori. E vedere che intorno a te non comprendono il tuo stato e che si affannano a darti ciò che non chiedi, ciò che non vuoi, è devastante.
Il dolore poi annienta anche la capacità di provare paura per la morte, che a quel punto viene vissuta come liberatoria.
Accompagnamento alla morte, certo, ma cosa avreste pensato voi ieri, quando Lucy mi ha detto faticosamente: “Puoi dire al dottore che mi faccia morire?”